Domenica 9 Aprile

PASQUA DI RESURREZIONE

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 Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)
Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

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Riflessione a cura di Padre Ermes Ronchi (tratta da www.lachiesa.it)

Dio regala vita infinita a chi produce amore

All’alba, alle prime luci, quasi clandestinamente, due donne si recano alla tomba nel giardino. Vuote le mani, vengono solo per visitare la tomba: guardare, osservare, sostare, ricordare. Sono le stesse donne che venerdì hanno abitato, senza arretrare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce. Un angelo scese dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Non apre il sepolcro perché Gesù esca, è già uscito, ma per mostrarlo alle donne: il sepolcro è vuoto, il Nazareno è già altrove. Come, non è detto. Il mistero di Dio resta intatto.
Donne, angelo, guardie, il brivido della terra, cielo, pietra, alba: tutti sono convocati perché Gesù Cristo cattura dentro il suo risorgere tutto l’universo; è energia che si dirama per tutte le vene del mondo, una forza che ha imbevuto di sé tutta la trama del creato. «E non riposerà più, fino a che non avrà raggiunto l’ultimo ramo della creazione e rovesciata la pietra dell’ultima tomba» (M.Luzi).
Le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli:
“So che cercate Gesù, non è qui!”. Voi cercatrici, mendicanti dell’amato, continuate, ma con occhi nuovi.
Che bello questo: non è qui!
Cristo c’è, esiste, vive, ma non qui. Non è rinchiuso in nessun luogo. Va cercato altrove, diversamente, via dal territorio delle tombe, è in giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita. Dappertutto, ma non qui, fra le cose morte.
Bisogna cercare più a fondo: non c’è luogo che lo contenga, non chiesa, non parole o liturgie. Lui è oltre, sempre oltre è il suo infinito cammino.Non è qui, vi precede, è davanti ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. È davanti, a ricevere in faccia il vento, il sole, il futuro, la violenza. Andate, vi precede. Un Dio migratore, abbiamo, che ama gli spazi aperti, che apre cammini, attraversa pietre e spalanca tombe. Pasqua vuol dire ?passare’. Non è festa per stanziali, ma per migratori, per chi inventa sentieri che facciano scollinare verso più giustizia, più pace, più armonia con il creato, verso terra nuova e cieli nuovi.
Vi precede in Galilea. Là lo vedrete. Ucciso a Gerusalemme, risorto a Gerusalemme, ma l’incontro avverrà ai margini, lontano dal centro dei poteri omicidi, in Galilea dove tutto ha avuto inizio con tre anni di strade, lago, pani e pesci, olivi, le lezioni sulla felicità, intese amicali. Devono rileggere tutta la vita di Gesù per capire la sua risurrezione. Devono ripercorrere la sua vita dall’inizio, allora capiranno che Dio l’ha risuscitato perché una vita così non può finire. Che gesti e parole così meritano di non morire, hanno dentro la vita indistruttibile che Dio regala a chi produce amore.

Carissimi,

in questa domenica di Pasqua desidero soffermarmi con voi sul significato del cero pasquale e sulla sua incidenza nella vita del cristiano adulto nella fede. La sua origine è molto remota. I primi cristiani, attingendo a una usanza sinagogale, si ritrovavano nella sera del sabato per celebrare l’eucaristia. Questa prevedeva il rito del lucernario con l’accensione di una lampada che permettesse le letture della Sacre Scritture e lo svolgimento della preghiera. Successivamente questo rito è andato scomparendo lasciando esclusivamente importanza al lucernario della notte di pasqua e al suo protagonista: il cero pasquale. Esso non è solo una candela di grosse dimensioni, ma è simbolo per eccellenza della nostra fede.

Il suo primo significato lo trae dalla prima pasqua, quando gli israeliti in fuga dall’Egitto, erano guidati durante il giorno da una nube e nella notte da una colonna di fuoco. Infatti nel canto dell’Exsultet abbiamo ascoltato: Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco.

E ancora: Riconosciamo nella colonna dell’Esodo gli antichi presagi di questo lume pasquale che un fuoco ardente ha acceso in onore di Dio.

Il secondo significato lo danno le api e la cera, che costituisce la materia da cui è formata questa grande candela. La cera nel suo sciogliersi per alimentare la fiamma è immagine del Verbo fatto carne. Come essa sacrifica se stessa perché arda la fiamma, così Cristo ha donato se stesso per introdurci alla relazione filiale con Dio. Benedetto il nuovo fuoco; da qui si accende il cero che irrompe nell’aula liturgica buia. Da esso i fedeli traggono la fiamma per alimentare la loro candela e successivamente tutta l’aula liturgica viene illuminata: è la pasqua del Signore. Per questo è erroneo porre la statua del cristo risorto che dal nulla sbuca al canto del gloria. Quando il buio è vinto è già Pasqua e a vincerlo è la luce del cero non una statua che appare dal nulla quando nella liturgia della parola, alla luce di quel cero, è stata riletta tutta la storia a partire dalla creazione come storia di vita e salvezza.

Il cero è il simbolo del crocifisso risorto. A lui in questa domenica vogliamo guardare affinché possa illuminare la nostra esistenza. Da esso voglio trarre alcuni spunti di riflessione per la nostra vita.

Innanzitutto le api. Le api operaie dal loro addome secernono i segmenti di cera, questi vengono lavorati dalle api mellifere per costruire le celle esagonali del loro favo dove vengono cresciute le larve e depositati miele e polline. Il lavoro delle api ci riporta a una laboriosità ben organizzata e finalizzata. Il modo di essere delle api è immagine dello stile del corpo – il cero – di Cristo che è la Chiesa.

L’Apostolo afferma: Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano? Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte. (1 Cor 12, 12 -31).

Dalle api allora apprendiamo l’essere membra di un solo corpo portando ognuno il proprio apporto affinché dalla nostra sinergia traspaia il volto di Cristo. Per questo sul cero sono poste delle piccole api di bronzo affinché durante il corso del tempo pasquale vedendole attaccate ad esso, ci ricordino la nostra funzione.

Il secondo aspetto sul quale desidero soffermarmi contemplando il cero è coesistenza in esso del dramma della passione – la cera che si consuma – e della gioia della risurrezione – la luce che brilla.

Un grande errore che nei secoli abbiamo perpetuato è stato quello di separare la dimensione della passione da quella della risurrezione.

Questo ha generato tante nevrosi nei fedeli, suscitato spiritualità improntate sulla sofferenza, tolto il gusto della vita e creato una certa ritrosia in chi, dotato di un po’ di acume, ha preferito prendere le distanze da un cristianesimo del venerdì santo che ha abortito la forza dirompente della pasqua. Dobbiamo sempre pensare e parlare del Crocifisso Risorto e questo deve essere il parametro del discernimento della nostra fede. Se guardiamo solo al crocifisso siamo dei fedifraghi perché come dice Paolo: se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede (1 Cor 15,14).

Carissimi,

nel cero troviamo tutto: il Cristo crocifisso e risorto e il suo corpo, la Chiesa, che siamo noi, frutto dell’abile lavoro delle api. Lo Spirito Santo infonda in noi la forza di essere cristiani forti, capaci di laboriosa speranza nella carità.

Ti preghiamo, dunque, Signore, che questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l’oscurità di questa notte, risplenda di luce che mai si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, questa stella che non conosce tramonto: Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena e vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

Con don Giorgio e don Josè a tutti rivolgo i più calorosi auguri pasquali.

Vostro, don Claudio.