Domenica 4

DOMENICA DI PASQUA

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Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,1-9)

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

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 Riflessione a cura di Padre Raniero Cantalamessa

È Pasqua. Tutto oggi parla della risurrezione di Cristo, anche il suono festoso delle campane. La nostra spiegazione del Vangelo può dunque essere più breve.

Nella seconda lettura, ascoltiamo queste solenni parole di san Paolo:
“Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova… Cristo nostra Pasqua è stato immolato! Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità”.
Ma che significa “celebrare la festa”, o, come si dice comunemente, “fare la Pasqua”? Pasqua significa passaggio. Per fare davvero la Pasqua bisogna perciò compiere anche noi un passaggio. Sant’Ambrogio dice che Pasqua significa passare “dalla colpa al perdono”. In questo è racchiuso un grande messaggio di liberazione che vogliamo cercare di raccogliere.

Per molte persone fare la Pasqua potrebbe voler dire proprio uscire una buona volta da questo stato, sentirsi finalmente libere, nuove, riconciliate con se stesse e con la vita. I sensi di colpa non fanno male solo a colui che li soffre, ma anche a coloro che gli vivono intorno. Colui che non è in pace con se stesso, che ha una cattiva immagine di sé, tende poi a proiettare negli altri questa stessa immagine; si sente accusato tutto il tempo (mentre è lui stesso che si accusa) e diventa aggressivo. Il senso di colpa, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non ha mai reso alcuno più umile, pacifico e amabile.

I sensi di colpa possono essere di due generi assai diversi. Ci sono i falsi sensi di colpa, cioè i sensi di colpa indotti dall’esterno, dalla società e da una falsa educazione, o causati da una coscienza scrupolosa; e ci sono veri sensi di colpa, quelli cioè che hanno avuto origine da oggettivi sbagli e peccati commessi, e che si chiamano comunemente rimorsi di coscienza. Spesso la psicologia non tiene conto di questa distinzione fondamentale e pretende combattere i sensi di colpa, negandoli in blocco. Cerca di eliminare, insieme con il complesso di colpa, anche il senso del peccato.

Si sa che alcuni errori lasciano nell’anima un segno più profondo degli altri e si configurano come veri e propri traumi spirituali. Avviene quando altri hanno riportato un danno grave, economico o morale, dal nostro operato; oppure quando la colpa (per esempio, un adulterio) è rimasta segreta e ci si sente quindi falsi e ipocriti. Per alcune donne, un vero trauma è spesso il ricordo di un aborto. Una di esse, confidava al direttore di una rivista cattolica: “Da quando è accaduto, non faccio che piangere. Vorrei trovare la forza di accostarmi a un confessionale, ma come faccio a chiedere perdono a Dio per un peccato che io stessa non riesco a perdonarmi?”.

Questi sono sensi di colpa che non si rimuovono, se non rimuovendo la loro causa che è, appunto, la colpa. Non, dunque, seppellendoli nell’inconscio e non pensandoci, ma solo mediante un sincero riconoscimento, accompagnato dal pentimento e dalla fiducia nella misericordia di Dio. La grandezza del messaggio pasquale è che non c’è senso di colpa, vero o falso che sia, giustificato o ingiustificato, dal quale non si possa venire fuori.

A Pasqua, la Chiesa annuncia ai milioni di uomini che si vedono rappresentati in quell’imputato: la assoluzione vera esiste, non è solo una leggenda, una cosa bellissima ma irraggiungibile. Gesù ha distrutto il “documento scritto della nostra colpa; lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (Colossesi 2, 14). Ha distrutto tutto. “Non c’è più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù” (Romani 8, 1).

Nessuna condanna! Di nessun genere, né interna né esterna! Per quelli che credono in Cristo Gesù! Non c’è colpa, per quanto tremenda, che resista a questa “assoluzione”. Se il vostro cuore vi rimprovera, sappiate che Dio è più grande e generoso del vostro stesso cuore (cfr. 1 Giovanni 3, 20). “Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica!” (Romani 8, 33-34).

Parole, una più sublime dell’altra, quelle che si odono a Pasqua! “Dio giustifica” significa: rende di nuovo giusti e santi al suo cospetto, riabilita, reintegra, proclama una amnistia.

Pasqua è fare di noi “una pasta nuova”, azzimi di sincerità e verità, cioè semplici e senza malizia (azzimo è il pane non fermentato). Di questa novità pasquale fa parte, adesso lo sappiamo, il dono di una coscienza in pace, senza più rimorsi.

PREGHIERA

Donaci, o Signore, di sperimentare oggi stesso,

la tua risurrezione nella Scrittura

proclamata e ascoltata, nell’Eucaristia

vissuta e  celebrata, nella fraternità

di noi riuniti nel bene .

Fa’ che ti sperimentiamo in tutto ciò

che nella Chiesa e nel mondo

è vita, è perdono, è consolazione,

è mutuo sostegno,  è superamento delle prove, comprese le più ardue.

Apri i nostri occhi, Gesù, perché possiamo vederti Risorto

vivo e presente in mezzo a noi; apri le nostre bocche

 perché possiamo con coraggio esprimere e testimoniare

la dolcezza del perdono, la soavità dell’amore,

la pienezza della pace che tu hai donato al mondo.