VI Domenica di Pasqua
Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29)
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».
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Le parole sono come pietre, a lanciarle è il Maestro, ad accoglierle sono i discepoli; il luogo del singolare ‘incontro’ rimane il Cenacolo, mentre il contesto è l’Ultima Cena.
C’è proprio bisogno di chiarimenti, tutto è diventato più difficile. Giuda, non l’Iscariota, si propone con una domanda: “Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?” (Gv 14,22).
La risposta di Gesù va oltre l’immediatezza del presente, s’inarca verso un futuro dagli orizzonti ampi che trascendono lo sguardo umano.
Il distacco è imminente e loro, i discepoli, devono conoscere e accogliere le consegne più importanti. Ricorrerà in aiuto lo Spirito che, altro dal Padre e dal Figlio, ha la stessa forza divina e può aprire le menti alla comprensione delle parole del Maestro.
Il passaggio è vertiginoso anche se si tratta di discesa: dallo stare “con” il popolo d’Israele lungo la storia, all’essere “in” ogni discepolo, cioè prendere dimora nei credenti e costruire insieme la storia. Alla comune dimora s’aggiunge l’unico messaggio che viene dal Padre, conosciuto, e non sempre apprezzato, nell’Antico Testamento: “Il Signore passò davanti a lui [Mosè], proclamando: ‘Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà’”(Es 34,6). In questo messaggio s’identifica il Figlio che, come il Padre, si pone dalla parte dell’oppresso e di chi soffre l’ingiustizia. Accolto, infatti, cambia la vita; fa camminare i paralitici a causa della paura dello scarto, della povertà.
A rendere viva la memoria di queste parole, a facilitare la coscienza di esse, ad aprire la mente dei discepoli al grande futuro interverrà lo Spirito Santo, il Paraclito. Questo termine “designa colui che è chiamato presso un accusato per aiutarlo e difenderlo; il suo primo significato è dunque quello di avvocato, aiuto, difensore. Di qui si vede apparire sia il senso di Consolatore, sia quello d’intercessore”.
A decidere il suo invio è il Padre che lo fa nel nome del Figlio. Questa decisione ha la stessa intensità, perché viene usato lo stesso verbo, che Gesù riconosce per sé: “la parola che voi ascoltate è del Padre che mi ha mandato” (Gv 14,24).
Questo cerchio si chiude con il fatto che il Figlio non ha parlato da se stesso, ma secondo l’insegnamento ricevuto dal Padre; da ora il Paraclito trasmetterà ciò che ha udito da lui.
In sostanza, l’opera dello Spirito consiste nell’insegnare e nel fare ricordare.
Il primo verbo non significa solo trasmettere, ma anche interpretare con autenticità e attualizzare l’insegnamento; l’altro verbo non si limita a richiamare il passato, ma consiste nell’aiutare a prendere coscienza della sua importanza, oggi.
La pennellata intensa dell’intervento di Gesù è riconoscibile nel dono grande e decisivo:
“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,17).
E’ importante intendere correttamente questo dono prezioso: “Non si tratta solo di un’assenza di conflitti e tensioni, e nemmeno di una sensazione di benessere o di una ricerca di tranquillità interiore. Secondo il Vangelo di Giovanni, essa è il grande dono di Cristo, l’eredità che egli ha voluto lasciare per sempre ai suoi discepoli”. Si tratta della pienezza di vita che prende sostanza dall’”agape”, cioè dall’amore che viene da Dio e che, nella gratuità, è dato ai credenti di ogni tempo.
E’ posta anche in evidenza la precarietà della pace che gli uomini si ‘spartiscono’ tra compromessi e interessi, tra strategie segnate da bugie e ingiustizie consumate a danno degli ultimi. La pace-dono è frutto della vittoria di Cristo sulla morte, per questo è alta e duratura, vera e liberante, pulita e gratuita.
L’imminente ritorno al Padre non deve essere vissuto come tragedia dai discepoli; la sua morte sarà la manifestazione suprema dell’amore: “Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre salvami da quest’ora? Ma per questo sono giunto a quest’ora! Padre, glorifica il tuo nome” (Gv 12,27-28).
I discepoli godranno dei beni messianici che sono legati al mistero pasquale; la gioia esploderà da questo travaglio che vede Gesù tornare al Padre che “è più grande”.
PREGHIERA
Signore, tu affidi ai tuoi
una missione pericolosa,
ma non li abbandoni, non li lasci soli.
Offri anche a noi una parola che
illumini il nostro cammino.
Aiutaci a capire che nei diversi frangenti
della storia a noi basta seguire il Vangelo
per essere sicuri di non sbagliare.
Donaci un compagno di strada,
che ci sostenga, ci consoli, ci aiuti a ricordare
a mettere in pratica le tue scelte:
lo Spirito Santo, un regalo vivo
che ci liberi dalla paura,
dall’ansia e da tutto quello che ci impedisce
di procedere giorno dopo giorno
con fiducia e con saggezza.