Domenica 25 Novembre

SOLENNITA’ DI CRISTO RE

Immagine1 25 novembre

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Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 18,33b-37)

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

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Il tribunale, luogo dove si amministra la giustizia;  Gerusalemme, città dove, con il giudizio, il diritto è strutturale come le mura: “Là sono posti i troni del giudizio, i troni della casa di Davide” (Sl 122,5).

   Due uomini sono di fronte; uno, Pilato, pieno di potere e di poteri, rappresentante dell’impero romano, deve giudicare; l’altro, giudeo, accusato per parole e atti sovversivi, attende con calma sovrana. Attorno il vuoto. Il pubblico, per ragioni religiose, rimane in piazza, preda di capi senza scrupoli, pronto a gridare parole di condanna.    

L’interrogatorio di Pilato è impostato sulla base di quanto i Capi dei sacerdoti gli hanno riferito e inizia con una domanda di rilievo:“Sei tu il re dei Giudei?”(Gv 18,33); segue l’auto-confessione di Gesù che conferma la sua regalità e precisa che il suo regno non è di questo mondo” (Gv 18,36).

Il giudice conosce il diritto processuale romano, che prevede un interrogatorio puntuale e circostanziato per i cittadini romani; sa anche che per gli stranieri si procede sommariamente. Egli sa che c’è un dibattito, ci sono i testimoni da ascoltare; sa che l’imputato ha molte garanzie per difendersi.

Per Gesù non c’è nessuna attenzione, nemmeno quella riservata agli ultimi. Il vuoto del palazzo è il vuoto di testimonianze; l’evangelista Giovanni sembra non dare peso a queste circostanze, ma ha cura delle risposte elevate, teologiche che l’accusato dà al giudice.

Questo, tuttavia, non impedisce di fare i conti con le trame imbastite dai capi e consegnate al prefetto perché abbia chiaro che si tratta di un ribelle politico; così l’orditura non potrà avere che un unico esito: una morte infamante, propria dei sovversivi, che per i romani è la crocifissione.

Giovanni, a differenza dei sinottici, approfondisce la tensione, rinvia la risposta e provoca il rappresentante di Roma; questi da straniero capisce poco della dinamica religiosa giudaica e, quando ci sono assembramenti alle festività religiose, e non, si allarma e la repressione, anche cruenta, è dietro l’angolo.

E’ nota agli storici l’intolleranza zero di Pilato e le sue stesse provocazioni con i simulacri dell’ imperatore da adorare.  Lui si sente estraneo e distante dagli accusatori giudei; in fondo è loro la responsabilità di intentare un processo contro Gesù.

Comunque vuole capire; nella sua testa c’è una domanda che lo martella: “Che cosa hai fatto?” (Gv 18,35). Non essendoci testimoni, l’unico che può rispondere è l’accusato. La risposta è rassicurante, ma carica di categorie nuove, essa richiede un colpo di reni, un guizzo di disponibilità per liberarsi dall’ossessione del potere-dominio.

Il regno di Gesù “non appartiene a nessun sistema ingiusto di questo mondo, non cerca di occupare alcun trono, non cerca potere o ricchezza”, tuttavia non è fuori dal mondo. Nessuna insurrezione armata, nessuna ribellione violenta, nessun attacco alle istituzioni.

“Pilato viene sempre più a trovarsi di fronte ad una realtà che non capisce, ma che intuisce e teme nella sua inafferrabilità”. Egli riformula la domanda: “Dunque tu sei re?”(Gv 18,37). La risposta dell’accusato punta a definire la natura della sua regalità:

“Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità: Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce” (Gv 18,37). Egli viene da un altro mondo, “in questo mondo ha il compito di rendere testimonianza a quell’altro mondo, alla verità”. Dentro questo linguaggio si comprendono il suo essere della stessa natura di Dio e la sua incarnazione.

Pilato, in sostanza, rifiuta la testimonianza di Gesù; non ‘sente’ e non capisce la voce della verità; questo perché “non è dalla verità”. Egli ha solo la preoccupazione del potere; alla fine non gli importa se, trascinato dalla paura (cfr Gv 19,8), consegna alla morte in croce un innocente.

Questa è la regalità vissuta e testimoniata da Gesù: pacificante, discreta, oblativa; questo è il regno piantato dentro la storia: giustizia, diritto, passione; questo è il respiro del re nel suo regno: libertà.

Libertà dall’odio, dalla violenza, dal male; libertà di amare, perdonare, “misericordiare”.

Quanti abitano in questo regno ‘sentono’ e vedono la bellezza di una umanità che sa condividere la sofferenza, sa vivere la solidarietà, sa sperare. Sa sognare.

 

    PREGHIERA       

Signore, Tu sei Il Re dell’universo,

ma la tua regalità non ha bisogno di esibire

insegne luccicanti, né di imporsi con la forza.

Aiuta tutti noi tuoi figli a capire che il tuo potere

non è fondato sull’uso della violenza,

facci sentire che Tu trasformi

il corso degli eventi attraverso l’amore,

donaci la capacità di considerare gli avvenimenti

della nostra storia, con uno sguardo attento e profondo.

Aiutaci, Signore, a comprendere che non sei stato  Tu  il debole,

né lo sconfitto, né il perdente, e la tua Croce

non ha costituito il segno del fallimento.

Proprio con la tua Croce Tu hai tracciato

un corso nuovo alla storia dell’umanità.