IV DOMENICA DI PASQUA
Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 10,11-18)
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
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Riflessione a cura di Padre Raniero Cantalamessa
L’immagine di Cristo buon pastore conquistò il cuore dei cristiani. Con essa Cristo fece il suo ingresso nell’arte. Le più antiche rappresentazioni di lui nelle catacombe e nei sarcofagi, lo ritraggono nelle vesti del pastore che porta sulle spalle la pecorella ritrovata. Per capire l’importanza che ha nella Bibbia il tema del pastore, bisogna rifarsi alla storia. Israele fu, all’inizio, un popolo di pastori nomadi.
I Beduini del deserto ci danno oggi un’idea di quella che fu un tempo la vita delle tribù d’Israele. In questa società, il rapporto tra pastore e gregge non è solo di tipo economico, basato sull’interesse. Si sviluppa un rapporto quasi personale tra il pastore e il gregge. Giornate e giornate passate insieme in luoghi solitari a osservarsi, senza anima viva intorno. Il pastore finisce per conoscere tutto di ogni pecora; la pecora riconosce e distingue tra tutte la voce del pastore che spesso parla con le pecore. Un’immagine equivalente, ma più vicina a noi, potrebbe essere quella di una mamma che al parco, mentre è seduta e lavora a maglia, vigila attentamente con la coda dell’occhio sul suo bambino che gioca e corre, pronta a scattare a ogni segnale di pericolo. Questo spiega come mai Dio si è servito di questo simbolo per esprimere il suo rapporto con l’umanità. “Tu, pastore d’Israele, ascolta, tu che guidi Giuseppe come un gregge”(Salmo 79,2). Uno dei salmi più belli del salterio lo si canta spesso nelle nostre assemblee descrive la sicurezza del credente di avere Dio come pastore.
Anche la morte ( “valle oscura”) non fa più paura perché si sa che anche lì arriva l’occhio del pastore. È il motivo per cui il salmo viene recitato nelle esequie dei defunti. Ma “valle oscura” non è solo la morte; è anche la prova, il buio, la crisi degli affetti, le difficoltà economiche, una seria depressione. E chi di noi non deve attraversare, prima o poi, qualcuna di queste valli oscure?
In seguito, il titolo di pastore viene dato, per estensione, anche a quelli che fanno le veci di Dio in terra: i re, i sacerdoti, i capi in genere.
Ma in questo caso il simbolo si scinde: non evoca più solo immagini di protezione, di sicurezza, ma anche quelle di sfruttamento e di oppressione.
Accanto all’immagine del buon pastore fa la sua comparsa quella del cattivo pastore, del mercenario. Nel profeta Ezechiele troviamo una terribile requisitoria contro i cattivi pastori che pascono solo se stessi; si nutrono di latte, si vestono di lana, ma non si curano minimamente delle pecore che trattano anzi “con crudeltà e violenza”. È la descrizione dal vivo del tiranno e dell’oppressore di tutti i tempi. A questa requisitoria contro i cattivi pastori, segue una promessa: Dio stesso un giorno scenderà a prendersi amorevole cura del suo gregge (cfr. Ezechiele 34, 1 ss.).
Gesù nel Vangelo riprende, come abbiamo sentito, questo schema del buono e del cattivo pastore, ma con una novità:
“Io sono il buon pastore!”.
La promessa di Dio è diventata realtà, superando ogni attesa. Cristo fa qualcosa che nessun pastore, per quanto buono, sarebbe disposto a fare: “Io offro la vita per le pecore”.
Il Vangelo non ci promette di cambiare l’attuale società “di massa”; non è il suo compito e neppure ha bisogno di farlo.
Esso ci aiuta invece a mettere un’anima in questa società, a far sì che anche in essa l’individuo e la famiglia preservino un suo spazio inviolabile di libertà e intimità. Il criterio di chi si lascia ispirare dalla parola di Cristo non è “così fan tutti”, ma “così è bene fare”. Lungi dal mortificare la nostra personalità, Gesù buon pastore, l’aiuta dunque a crescere; egli ci personalizza con la sua conoscenza e col suo amore; fa nascere da noi la creatura nuova, consapevole e forte, quella che il mondo non può manipolare o intimidire perché non è più sotto la sua presa.
Mi viene in mente un episodio che illustra bene tutto ciò.
Una fanciulla del popolo era al servizio della figlia del re di Francia che la trattava con arroganza, piena di infinite pretese. In un’occasione, credendo di non essere stata servita a puntino, la principessina gridò alla cameriera: “Non sai che io sono la figlia del tuo re?”. Al che la fanciulla, senza scomporsi, rispose: “E tu non sai che io sono la figlia del tuo Dio?”.
Facciamo nostre dunque con rinnovata convinzione le parole del salmo e diciamo anche noi: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla…”.
PREGHIERA
PER LA 58a
GIORNATA MONDIALE DI PREGHIERA
PERLE VOCAZIONI
Ti lodiamo Dio, Padre buono,
perché hai voluto la vita dell’uno
legata alla vita dell’altro;
creandoci a tua immagine
hai depositato in noi questo anelito
alla comunione e alla condivisione:
ci hai fatti per Te e per andare con Te
ai fratelli e alle sorelle, dappertutto!
Ti lodiamo Dio, Signore Gesù Cristo,
unico nostro Maestro,
per esserti fatto figlio dell’uomo.
Ravviva in noi la consapevolezza di essere in Te
un popolo di figlie e figli, voluto, amato e scelto
per annunciare la benedizione del Padre verso tutti.
Ti lodiamo Dio, Spirito Santo, datore di vita,
perché in ognuno di noi
fai vibrare la tua creatività.
Nella complessità di questo tempo rendici pietre vive,
costruttori di comunità, di quel regno di santità
e di bellezza dove ognuno,
con la sua particolare vocazione,
partecipa di quell’unica armonia
che solo Tu puoi comporre.
Amen.