V Domenica di Pasqua
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Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 13,31-35)
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
L’atmosfera è leggera, ma stranamente triste; la danza dell’amore si muove tra l’intensità delle parole e la fluidità dei gesti, i personaggi emergono e scompaiono quando la bellezza li illumina o la fragilità li adombra.
Tutto avviene attorno alla mensa, dentro una sala preparata con cura per una cena d’addio. Colui che decide e determina i movimenti è Gesù, seduto al centro della tavola, disposto ad amare gli amici sino alla fine.
C’è, poi, la coscienza da smuovere; è la parte più profonda e intima della persona, perché in ogni scelta ci sia consapevolezza e responsabilità: “uno di voi mi tradirà…Signore, chi è?…Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte”(Gv 13,21.25.30).
Tenebra e luce, allontanamento e vicinanza; Giuda se ne va e si lascia divorare dal buio, mentre “il discepolo che Gesù amava” rimane lì, in casa; con leggerezza si posa sul suo cuore “non solo per sapere il traditore, ma per conoscere il turbamento di chi è stato tradito e ricevere la rivelazione del suo amore”. Gesù, in segno di amicizia e di comunione, ha compiuto gesti intensi-ha lavato i piedi, ha spezzato il pane-, ma non è riuscito a coinvolgere nella danza Giuda i cui passi pesanti vanno altrove. Proprio questa sconfitta fa brillare la luce della gloria di Dio e del Figlio dell’uomo, così l’amore rimane intenso e vero “sino alla fine” e apre spazi al comandamento “nuovo” affidato ai discepoli. Qui la gloria rifulge.
Dopo il turbamento causato dal pensiero della morte imminente e dalla presenza, a tavola, del traditore, Gesù vede compiersi quanto aveva detto alla folla: “Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori” (Gv 12,31).
Con un linguaggio alto egli propone squarci di cielo attraverso i quali discende la gloria del Padre e, allo stesso tempo, sale quella del Figlio. Intanto i discepoli devono sapere che lui, il Figlio, l’inviato, sta per lasciarli; torna nella sua eternità. Alle guardie inviate dai capi dei sacerdoti e dai farisei aveva detto: “Ancora per poco sono con voi; poi vado da colui che mi ha mandato” (Gv 7,33). Quella meta essi non la comprendono né sono in grado di raggiungerla. Si tratta della sfera divina inaccessibile all’uomo.
Nel tempo che tende verso l’eternità, i discepoli, mossi dall’amore, devono porsi tra la gente come suoi veri testimoni. In sostanza, la fede di questi verso il loro Maestro prende forma e si qualifica col criterio della carità. Il comandamento “nuovo” viene esplicitato: “che vi amiate gli uni gli altri: Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34).
L’origine di questo movimento viene da Gesù; il suo amore passa nei discepoli e di questo amore essi devono tessere e sostanziare le relazioni. Di mezzo c’è il dono della vita, come accade al pastore; c’è il servizio alla vita, come avviene con la lavanda dei piedi. In quella piccola sala, durante la cena di addio, per l’umanità accade qualcosa di inaudito; ad essa è rivelata l’esistenza di un amore che appartiene a Dio; è sostanza del suo essere, e il Figlio lo partecipa agli uomini senza misura.
Per le società di ogni tempo esistono due gradi dell’amore. L’’eros’, “per designare l’inclinazione piacevole, l’amore appassionato o semplicemente il desiderio per ciò che porta gioia e soddisfazione”; la ‘philia’, per descrivere “l’affetto verso una persona vicina e viene impiegata per parlare dell’amicizia, della tenerezza o dell’amore per i parenti e gli amici”.
La novità sta nell’ ‘agape’, nell’amore-dono, visibile nello stile di Gesù e nelle sue relazioni: “non si avvicina alle persone cercando il proprio interesse o la propria soddisfazione, la propria sicurezza o il proprio benessere, ma a donare il meglio che ha, ad offrire amicizia, ad aiutare a vivere”.
Il discepolo, accogliendo il comandamento, realizza lo stile di amare impastato di tenerezza e gratuità, accoglienza e condivisione, umiltà e servizio.
Ciò che permetterà di scoprire se una comunità che si dice cristiana è realmente di Gesù, non sarà la confessione di una dottrina, l’osservanza di certi riti o il compimento di una disciplina, ma l’amore vissuto nello spirito del Maestro. In questo amore sta la sua identità.
PREGHIERA
Signore,
ai tuoi discepoli hai affidato
un comandamento nuovo:
“Amatevi gli uni gli altri”.
Aiutaci a sentire per l’altro un sentimento fraterno, nonostante
le differenze di condizione sociale, di provenienza, di cultura, di lingua.
Donaci Tu quell’amore capace di superare ogni ostacolo
per offrire solidarietà, vincere la paura, superare le diffidenze,
Ignorare pregiudizi e sospetti.
Suscita in noi un amore che diventi misericordia
verso chi ci offende, servizio umile verso i disagiati,
tenerezza per sostenere chi vacilla e chi cade.
Riempici di un amore che non sia sottomesso
a situazioni della vita, ma che sia profondo,
gratuito come quello che Tu ci hai donato.