Domenica 14

VI Domenica del Tempo Ordinario

VI TO

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Dal Vangelo secondo Matteo (Mc 1,40-45)

Venne da lui un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

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Riflessione a cura di Padre Raniero Cantalamessa

Nelle letture di oggi risuona più volte la parola che, al solo sentirla nominare, ha suscitato per millenni, angoscia e spavento: lebbra! Due fattori estranei hanno contribuito ad accrescere il terrore di fronte a questa malattia, fino a farne il simbolo della massima sventura che possa toccare a una creatura umana e isolare i poveri disgraziati nei modi più disumani (recinti di filo spinato, prigioni, boschi, cimiteri, manicomi, deserto).
Il primo era la convinzione, oggi rivelatasi in gran parte errata, che questa malattia fosse talmente contagiosa da infettare chiunque fosse venuto in contatto con il malato; il secondo, anch’esso privo di ogni fondamento, che la lebbra fosse una punizione per il peccato. Tutto questo aggiungeva alla sofferenza fisica, anche la sofferenza morale del giudizio e del disprezzo della società.

Nel brano tratto dal Levitico si dice che la persona sospettata di lebbra deve essere condotta dal sacerdote il quale, accertata la cosa, “dichiarerà quell’uomo immondo” (Levitico 13,3). Da quel momento, “Il lebbroso colpito dalla lebbra porterà vesti strappate e il capo scoperto, si coprirà la barba e andrà gridando: Immondo! Immondo! Sarà immondo finché avrà la piaga; se ne starà solo e abiterà fuori dell’accampamento”.

Il povero lebbroso, scacciato dal consorzio umano, deve lui stesso, per giunta, tenere lontane le persone avvertendole del pericolo. L’unica preoccupazione della società è di proteggere se stessa. Ora vediamo come si comporta Gesù nel vangelo:

“Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: Se vuoi, puoi guarirmi! Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: Lo voglio, guarisci! Subito la lebbra scomparve ed egli guarì”.

Gesù non ha paura di contrarre il contagio; permette al lebbroso di arrivare fino a lui e gettarglisi in ginocchio davanti. Di più, in un’epoca in cui si riteneva che la sola vicinanza di un lebbroso trasmettesse il contagio, egli “stende la mano e lo tocca”. Non dobbiamo pensare che tutto questo venisse spontaneo e non costasse nulla a Gesù. Come uomo egli condivideva, su questo come su tanti altri punti, le convinzioni del suo tempo e della società in cui viveva. Ma la compassione per il lebbroso è più forte in lui che la paura della lebbra.
Gesù pronuncia in questa circostanza una frase tra le più sublimi e divine, pur nella sua estrema sinteticità: “Lo voglio, guarisci”. “Se vuoi, puoi”, aveva detto il lebbroso, manifestando così la sua fede nella potenza di Cristo. Gesù dimostra di potere fare, facendolo. In ciò egli rivela implicitamente la sua trascendenza divina. Nessun taumaturgo, nell’operare un miracolo, può parlare in questo modo, perché sa bene che lui può solo intercedere, implorare, non operare di sua volontà il miracolo, che dipende solo da Dio. Gesù solo può dire, in prima persona: “Lo voglio”, perché sa di essere “una cosa sola” con Dio.
Questo confronto tra la legge mosaica e il Vangelo sul caso della lebbra ci costringe a porci la domanda: Io a quale dei due atteggiamenti mi ispiro? È vero che la lebbra non è ormai la malattia che fa più paura (anche se vi sono tuttora una ventina di milioni di lebbrosi nel mondo), che da essa, se presa in tempo, si può guarire completamente e nella maggioranza dei paesi essa è ormai del tutto debellata; ma altre malattie hanno preso il suo posto. Si parla da tempo di “nuove lebbre” e “nuovi lebbrosi”. Con questi termini non si intendono tanto le malattie inguaribili di oggi, quanto le malattie (AIDS e droga), dalle quali la società si difende, come faceva con la lebbra, isolando il malato e respingendolo ai margini di se stessa.
Ci sono quartieri che si mobilitano e reagiscono contro l’erezione, al loro interno o nei loro paraggi, di una casa di accoglienza per questi malati. Non giudichiamo troppo frettolosamente queste persone, come se la cosa non presentasse effettivamente alcun problema e si trattasse solo di egoismo. Piuttosto, come diceva san Paolo “ognuno esamini se stesso” (1 Corinzi 11, 28), per vedere che cosa prevale nel suo cuore: se il rigore della legge o la compassione del Vangelo. Noi non possiamo dire, come Gesù: “Lo voglio, guarisci”; possiamo però almeno “stendere la mano”, “toccare” questi fratelli nella sventura. Ci sono infiniti modi con cui si può fare ciò. A volte il semplice gesto materiale di stendere loro la mano può essere di grande conforto e aiuto, perché li fa sentire ancora persone umane come gli altri. Quello che Raul Follereau ha suggerito di fare verso i lebbrosi tradizionali, e che tanto ha contribuito ad alleviare il loro isolamento e sofferenza, si dovrebbe fare (e, grazie a Dio, molti lo fanno) nei confronti dei nuovi lebbrosi.

VI TObis

 

 PREGHIERA

Signore, alla tua epoca il lebbroso

era allontanato dal villaggio,

condannato alla solitudine, emarginato da tutti.

Noi credevamo che la paura del contagio

fosse retaggio di tempi  lontani,

ma la pandemia che ci ha colpito

ci ha costretti all’isolamento

ed a tante precauzioni.

La tua compassione per il lebbroso si manifestò

nel tendere la mano e compiere un gesto rischioso

per la tua incolumità.

Ti invochiamo, perché l’amore

che hai per noi si manifesti

secondo il tuo volere.

Aprici la porta del tuo cuore, tendici la tua mano

e vieni a noi, ancora inerme e senza protezioni.