XI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
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Dal Vangelo secondo Marco (Mc 4,26-34)
Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
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Riflessione a cura di Padre Raniero Cantalamessa
Il ciclo del grano comporta tre fasi: la semina, la crescita e la mietitura. Tutte e tre queste fasi vengono evocate nella parabola che abbiamo ascoltato, per parlarci del regno di Dio.
Soffermiamoci sulla terza fase, la mietitura. Essa è anche quella che corrisponde alla stagione che stiamo vivendo.
Cosa rappresenta la mietitura sul piano spirituale, ce lo dice Gesù stesso, commentando la parabola del grano e della zizzania:
“La mietitura rappresenta la fine del mondo… Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente… Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro” (Mt 13, 39-43).
La mietitura indica dunque l’atto conclusivo della storia, il giudizio finale. La liturgia di questa Domenica orienta la nostra riflessione proprio in questa direzione. Nella seconda lettura infatti ci fa ascoltare un brano di san Paolo che dice:
“Tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, ciascuno per ricevere la ricompensa delle opere compiute finché era nel corpo, sia in bene che in male”.
L’idea del giudizio finale suscita istintivamente in noi pensieri di timore, di angoscia, di severità. Il canto del Dies irae ha contribuito a creare questa associazione. “Dies irae, dies illa: giorno d’ira, sarà quel giorno… Che tremore ci sarà, quando il giudice apparirà, per vagliarci con rigore!”. Anche Michelangelo, nel suo famoso giudizio universale della Cappella Sistina, vede il giudizio in questa luce severa. Egli ha fissato il momento in cui Cristo dice ai reprobi: “Via da me maledetti!”. Guardandolo, si è impressionati molto più da quello che avviene in basso, nell’inferno, che in alto, tra i beati.
Ma tutto questo è molto parziale. La cosa più importante del giudizio non è il “Via da me, maledetti!”, ma il “Venite, benedetti!”. La verità del giudizio finale è fatta per incoraggiare, non per spaventare.
“Allora i giusti risplenderanno come il sole nel regno del Padre loro”, ci ha detto Gesù. L’immagine stessa della mietitura, come quella affine della vendemmia, non suggerisce tristezza e paura, ma al contrario gioia, festa.
Noi, in ogni caso, questa volta, seguiamo esclusivamente questa pista positiva. Chissà che non riusciamo a riconciliarci con questa verità della fede e anzi a farla splendere, come fiaccola, dentro di noi.
Un giorno san Francesco d’Assisi si trovava nella rocca di San Leo, tra la Romagna e le Marche. C’era in quel castello grande eccitazione per l’investitura di un nuovo cavaliere e tutto il paese era in festa.
San Francesco voleva invitare la gente a pensare a un’altra festa. Allora, dicono i Fioretti, salì su un muricciolo e si mise a cantare con grande trasporto: “Tanto è il bene ch’io m’aspetto ch’ogni pena mi è diletto!”. La mietitura di cui parla Gesù è il momento in cui Dio “tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).
Se avete avuto di recente qualche lutto in famiglia, è così che dovete pensare la persona cara: con Dio Padre che l’attendeva oltre la soglia per asciugarle dagli occhi l’ultima lacrima.
Il pittore che ha saputo esprimere meglio di tutti questo carattere gioioso dell’atto finale della storia umana è stato il Beato Angelico. Anche lui ha dipinto un famoso giudizio universale. Non mette i beati in alto e i dannati in basso, come Michelangelo, ma, seguendo il Vangelo, pone i dannati alla sinistra e gli eletti alla destra del giudice. Anche qui c’è il pericolo di fissarci solo su alcuni particolari impressionanti relativi ai dannati.
Dovremmo guardare piuttosto a ciò che c’è alla destra del Giudice, in alto e da tutte le parti: danze, dolci abbracci, come di persone che si ritrovano in luogo sicuro, dopo aver superato un grande cataclisma e si avviano a una quieta dimora.
La vita eterna è appunto questo. Un istante eterno!
C’è un canto spiritual negro che parla dell’ingresso dei santi in cielo. Il suo ritornello dice: “Quando in ciel, dei santi tuoi, la grande schiera arriverà, o Signor come vorrei che ci fosse un posto per me!”.
PREGHIERA
Signore, talvolta abbiamo l’impressione
che la tua Parola sia sprecata
come un seme che non produce frutto.
Facci riconoscere, Gesù, che la stessa Parola,
data per smarrita, senza futuro,
ha poi rivelato effetti tanto imprevisti
quanto sorprendenti.
Facci superare, Gesù, lo scoraggiamento
in cui abbiamo l’impressione
di aver lavorato invano.
Aiutaci a credere che c’è un tempo straordinario
in cui spunta una grande pianta
proprio nel terreno considerato sterile.
Aiutaci a credere che la tua Parola abbia una forza
che non possiamo misurare e che sorpassa
le nostre previsioni.
Aiutaci a farci sentire collaboratori umili e
disponibili del regno di Dio.